Il Salento è un territorio di confine che si affaccia sul mediterraneo. Qui nasce la Pizzica Pizzica, un ballo tradizionale con canto sul tamburo, lu Tamburreddhu
Il territorio è passato negli ultimi 20 anni da terra di emigranti a terra turistica, tanti lavori sono cambiati, abbiamo imparato a costruire strutture ricettive, ad organizzare eventi importanti, a far conoscere la nostra cucina e tante altre cose.
Tutto in funzione dello show business estivo, cambiando così tanti usi e costumi del nostro territorio tra cui lo strumento fondamentale su cui è basata tutta la nostra musica da ballo, la Pizzica Pizzica
In Tamburreddhu film appaiono numerosi dei più importanti interpreti di musica salentina, abbandonano le luci dei palchi e dei festival di world music internazionali, dove ormai la musica salentina e programmata insieme a generi come il Balkan, Flamenco o la Cumbia, per mostrarsi in una versione più intima, Uce e Tamburreddhu (Voce e Tamburo), interpretando le principali melodie tramandate dai cantori originali registrati in Salento da Lomax, De Martinio e Carpitella negli anni 50.
Fonti storiche, filmati di repertorio ed interviste, arricchiscono una serie di videoclip musicali che raccontano i tamburi, le tecniche le differenze tra le varie Pizziche Pizziche, arricchisce il lavoro l’intervista all’ultimo costruttore anziano vivente, svelandoci alcuni particolari di costruzione artigianale .
Tamburreddhu o Tamburello? Riflessioni a cura di Claudio “Cavallo” Giagnotti
Da tempo la musica tradizionale salentina è attraversata da molti incontri musicali, contaminandosi con altri stili musicali, non solo con le musiche di altre tradizioni ma, soprattutto, con altri generi musicali (rock, pop, elettronica ecc…). Questo ha portato, secondo me, ad una confusione sonora caratterizzata dall’utilizzo di strumenti non consoni alla tradizione musicale salentina soprattutto nell’uso di percussioni (tamburi a cornici) che non rispettano l’archetipo che i maestri costruttori ci hanno tramandato negli anni.
Da qui nasce l’idea di costruire o ricostruire un’identità sonora che ritorni a parlare o, meglio, ritorni a farci ascoltare quei miscugli sonori che quell’irregolarità costruttiva degli antichi maestri ha fatto conoscere al mondo intero, come la musica tradizionale salentina e il suo strumento principe, “u Tamburreddhu”.
Da anni passa nella mia testa l’idea di restituire una linea sonora ad una tradizione che sempre più sta dimenticando le proprie sonorità, soprattutto dopo la morte dell’ultimo grande costruttore di Tamburreddhi salentini “Mesciu Ninu”, al secolo Giovanni Sancesario di Nociglia.
Strano che questo lo pensi un musicista come me che, forse più di tutti, ha contaminato la musica tradizionale salentina con altri stili e altre sonorità. Penso, però, che sia arrivato il momento di fermarsi e dare una giusta dimensione allo strumento principe della tradizione musicale salentina. Tante, infatti, sono le caratteristiche che sono cambiate negli ultimi quindici anni: materialmente i tamburreddhi sono diventati sempre più leggeri, le pelli sempre più armonizzate, ispirate, cioè, ai colori ritmici dello strumento, trascurando quella che possiamo definire, in maniera gergale, la “botta” o, meglio, la circolarità del tempo di battuta.
Anche i sonagli sono cambiati, tanto che oggi hanno forme e dimensioni diverse da quelle che siamo abituati a vedere nei filmati di repertorio che testimoniano la tecnica rotatoria della mano che, oggi, ha guadagnato in precisione nel suono del sonaglio, capace di creare una figura ritmica sempre uguale a se stessa, ma che ha perduto proprio quell’irregolarità sonora creata, appunto, dal Tamburreddhu e dalle sue antiche modalità costruttive.
Così, parlandone con alcuni nuovi costruttori (su tutti gli amici Biagio Panico e Vito Giannone), inevitabilmente ci si è domandati cosa è, oggi, lo strumento che suoniamo, come sono cambiati i materiali e l’uso dello stesso: da oggetto, ieri, utilizzato in una terapia come il Tarantismo ad oggi, strumento musicale che i giovani salentini e non solo- usano per rivendicare un’appartenenza politico-culturale attraverso la musica tradizionale.
Sicuramente non bisogna dimenticare che viviamo il presente, pertanto non dobbiamo conservare la tradizione e perpetuarla in una maniera folklorica, ma apportare quelle migliorie artigianali che la contemporaneità permette. Secondo me, quindi, è giusto che i nuovi costruttori, analizzando gli strumenti che la tradizione ha conservato, abbiano migliorato l’oggetto artigianale portandolo ad un vero strumento musicale.
Proprio a questo la mia riflessione vuole giungere: riconoscere, cioè, “lo strumento Tamburreddhu” come non un oggetto turistico, ma come il vero emblema della tradizione salentina o meglio, riflettere sul perché per suonare, ad esempio, il flamenco, bisogna utilizzare la chitarra Flamenco e per suonare la Pizzica Pizzica, invece, va benissimo qualsiasi tamburello? Secondo me non è proprio così. Voi che ne pensate?